Le parole sulla porta.
Leggere tra le righe, per comprendere l’assurdità dei nostri giorni.
Domenica mattina, due passi fino all’edicola per i giornali, il marciapiede di un quartiere borghese come tanti, tra il centro e la periferia, con le luci di natale, i negozi aperti per i regali, il freddo sulla faccia e gli occhi che trotterellano sulle insegne, gli avvisi, le promozioni.
Mi piace sempre leggere quello che viene scritto sulle vetrine, da sempre: due generazioni di commercianti devono aver lasciato tracce genetiche sui movimenti involontari dei miei bulbi oculari. Alcune volte mi viene da correggere i refusi, altre volte rido, ed è capitato anche che un cartello mi abbia invitato a entrare. Come quello scritto dal gestore di un sexy shop sulla circonvallazione che prometteva uno sconto a chi entrava con un sorriso. Mi ha descritto una clientela timida, imbarazzata, frettolosa e spaventata, sorridente mai. Per questo ha scritto così sulla porta, ma fino a quel momento non aveva fatto ancora uno sconto. Si vede che anche scopare non è più divertente di questi tempi.
Stamattina invece mi ha colpito molto il cartello all’ingresso di un portone elegante, nel quartiere borghese di cui sopra. Passatoia, portineria, un altro cancello dopo il primo, con un secondo citofono e un lungo corridoio tra i due varchi. Dev’essere quell’atrio così ampio che induce i rider a varcare il primo ingresso con la loro bicicletta. Hanno una manciata di minuti dalla chiamata alla consegna, se chi ordina non scende — e chi ordina non scende quasi mai — la bicicletta rischia di sparire. Rubata a un disperato, da qualche altro disperato. Si chiama guerra tra poveri, ma se siamo diventati indifferenti alle guerre dei ricchi, figuriamoci quanto possono interessarci quelle tra miserabili.
Ma torniamo al cartello, perché non c’è scritto che è vietato entrare con la bicicletta, punto. C’è scritto che è vietato entrare con la bicicletta quando si consegna cibo a domicilio. Quindi, deduco, l’e-bike a 18 rapporti con telaio in fibra di carbonio la tiriamo dentro fino al cortile, quella dei nuovi schiavi resta fuori. E sinceramente il razionale mi sfugge. O meglio, lo comprendo, ma mi fa orrore.
Dev’essere un condominio dove i delivery sono di casa, fuor di metafora intendo, meglio vietare a questi poveretti di mettere in sicurezza la propria bicicletta mentre salgono a portarti la cena.
Forse ha ragione Adela Cortina quando scrive del nostro disprezzo cognitivo verso la povertà. Non è razzismo, sembra non sia possibile neanche immaginarne l’eventualità, le nostre società democratiche e liberali portano in dote inclusione e melting pot, ma “hanno vinto i ricchi”, per dirla con il titolo di un altro bel libro, e quindi la tua bicicletta resta sul marciapiede. Se te la rubano perdi anche il lavoro, perché all’algoritmo la cosa non interessa, anzi, credo ti facciano pagare anche il bauletto, ma dovrei informarmi.
Anni fa consegnavo fiori a domicilio per il negozio di mio zio, amavo farlo nei giorni che anticipavano il natale. Le mance erano generose, si smetteva di andare a scuola giorni prima rispetto alla pausa festiva perché le consegne erano tantissime. La città veniva divisa in quadranti e ognuno di noi si prendeva uno o più quartieri. A volte mi è capitato il centro di Milano, c’era quasi sempre una portineria, mi veniva indicato il piano e spesso venivo invitato a prendere l’ascensore di servizio. Ecco, ogni volta che mi veniva indicato l’ascensore di servizio io sentivo dentro di me una specie di frustrazione, come se non meritassi l’accesso all’ascensore padronale, neanche con la mia pelle bianca e il piumino griffato, neanche accompagnato dai colori e dal profumo dei doni che dovevo recapitare.
Credo sia questa l’aporofobia: una diffidenza implicita, atavica e recondita, una specie di distanziamento sociale che vuole difendersi dal virus della povertà.
Io non so che fine abbiano fatto gli ascensori di servizio dentro le case dei centri storici, temo siano vietati anche quelli a chi consegna il cibo a domicilio, che prendano le scale e preghino il proprio dio di trovare la bicicletta quando escono.